Non serve la paura
di Serena Rossi
Versi tesi e icastici con immagini forti, fulminei ossimori e ansiose contraddizioni; così si offre al lettore attento la poesia di Serena Rossi. Sono versi che spiazzano e colpiscono, percorsi tuttavia dalla consapevolezza, faticosa ma tenace, che si può (si deve) dare un senso alla realtà.
L’io poetante vive (come tutti noi) un reale di cui subisce l’inevitabile vischiosità, dove impulsi e aspirazioni si scontrano con imprevisti ostacoli. E dove ogni accadimento – sentimento, stato d’animo, desiderio -, non appena percepito, presenta nel medesimo istante, inatteso, il suo aspetto negativo e tuttavia inseparabile. Se si vuole l’uno è inevitabile accettarne l’altro. Così, in questa raccolta poetica, convivono “gioia sconsolata”, felicità e dolore, dolcezza e asprezza, pianto e sorriso. Quindi, “ombra e soglia”, senso del vuoto e calda pienezza dell’esistere. Ancora, nei riguardi dell’altro, a momenti d’aspra opposizione (intenzione di respingere qualsivoglia compromesso) succedono slanci di disponibilità ad accoglierne l’aiuto, nella raggiunta consapevolezza della difficoltà che l’altro sempre costituisce. Se si accetta lucidamente questo dato di realtà, si può non essere soli: quindi, non solo “ombre e soglia”; bensì, se si è “anima e soglia” insieme, “si può vivere leggeri e magari cantare”. L’amore “che sconfigge il virus” è questo. Volontà del cuore rintracciabile anche negli accadimenti minimi, quotidiani; in qualche breve sorriso che rischiara un volto triste; oppure in qualche dettaglio che illumina meravigliosamente un paesaggio desolato accendendolo di luce.
Questa continua oscillazione tra crudo principio di realtà e tenace aspirazione a una pienezza del vivere, questo rimanere in bilico su un arduo crinale senza precipitare da un lato né dall’altro, sono bene espressi non tanto da un pensiero ragionante, quanto dalla forma della scrittura. Come detto all’inizio, sono versi caratterizzati da uno stile scabro con un ritmo incalzante, sincopato, disseminato da rime e allitterazioni inconsuete che, spesso svianti, spezzano il flusso, frenano una lettura incalzante – indotta dal verso breve, se non brevissimo (sovente d’una sola parola) -, imponendo una pausa, un momento straniante che chiede riflessione.
S’incontrano sovente assonanze e rime come relitti/delitti”, “inconscio/sciò”, “suola/suora”, “soglia/bolgia”, “speranza/essenza/esistenza/escrescenza”, “ecc.; rime che provocano un repentino e inaspettato cambio di senso. Il testo è punteggiato anche da parole estranee, “fuori contesto”, segnali d’allarme o inattesa ribellione che hanno la funzione di mettere in guardia il lettore. Tra l’altro il verso con una singola parola ne amplifica la pregnanza semantica.
Mi è venuto in mente che una lettura ad alta voce di questi versi “sonori”, soprattutto quelli composti d’una sola parola, recitati con molteplici modulazioni del tono, ne valorizzerebbe molto l’intensità e la comprensione del significato.
Serena Rossi è anche pittrice, quindi nella sua poesia vengono evocati molti colori: il rosso vermiglio del sangue, verde rabbia, azzurro tenue, viola, il blu indaco d’un mare cupo e giallo/yellow speranza; un cromatismo che evoca con immediatezza immagini di stati d’animo balenanti per poi subito venir contraddetti e svanire (momentaneamente) in quell’angoscioso senso di vuoto che, come si è già notato, traspare in molte composizioni. Tuttavia non c’è ripiegamento e rinuncia, non ci si lascia vincere da attimi di scoramento, dal momento che “basta il pianto d’un bambino o un cane arrabbiato a ricordarti quanto tutto questo è bello”, poiché dominante resta l’esortazione rivolta non solo a se stessa, ma agli altri, a tutti noi: “Esci respira ama”.
Claudio Zanini, giugno 2022
Serena Rossi, Non serve la paura, Nulla die, Piazzarmerina 2022
Una riflessione di Laura Cantelmo
Una scrittura, quella di Serena Rossi, che ha l’andamento di un singulto – versi brevi che seguono le coerenze e le incoerenze di un flusso di coscienza e di questo conservano il tono di pudica intimità.
La raccolta rientra in una categoria che potremmo definire “letteratura in tempi di emergenza” per quello stato d’animo derivante dalla distorsione della vita a cui ultimamente ciascuno/a di noi, volente o nolente/dolente, si è adeguato/a. Una letteratura che corrisponde a un reale stato d’emergenza, il cui felpato avvicinarsi nel minaccioso fluire dei giorni e della storia, è stato spesso percepito dall’inconscio come una drammatica e violenta sospensione dell’esistenza, iniziata, a me pare, ben prima della pandemia. Possiamo permetterci di dire che con questi testi Serena Rossi, come molti di noi, sembra emerge da un cumulo di macerie togliendosi la polvere di dosso e dagli occhi, per recuperare tra i frantumi un segno di vita.
Il titolo stesso -Non serve la paura- suona come un avvertimento dal quale credo sia corretto partire per leggerne il senso profondo. Serena Rossi si rivolge a se stessa e agli altri, ai silenziosi interlocutori che ogni tanto lei chiama o apostrofa, per ricomporre un discorso di possibile rinascita.
Attraversando la solitudine che tematicamente domina questi versi, il clima di après le deluge dei testi è talvolta interrotto dalla umbratile presenza di un Tu/Voi che la Poeta chiama come interlocutori – ombre che la circondano o abitano in di lei – per intravvedere insieme a loro quel segno di vita cui si accennava: “basta il pianto di un bambino/…/per ricordarti / quanto tutto questo è bello.” Ed è lei stessa, nei suoi discorsi amorosi – essendo qui l’amore un altro tema dominante – a pronunciare consigli e norme “Non ti amalgamare al gruppo/Esci respira ama./ Dicono che fare all’amore/Sconfigga il virus.” Mantenere un’identità, una coerenza, significa per l’Autrice non annientarsi, tutelando il rapporto vitale con il proprio corpo e con l’Eros senza unirsi al gregge: “Non serve la paura che ti piega.”
L’antidoto è dunque “uscire”, ribellarsi alla solitudine e alle norme prescritte dall’alto:”Cerco solo un abbraccio”. Partendo dalla negazione di certe necessità elementari, sullo sfondo simbolicamente desolato di alcuni paesaggi marini (da cui emerge la sapienza pittorica dell’Autrice) si afferma il valore della parola come comunicazione, dono e ricerca dell’Altro: “le mie parole/ e io le dono/parole solo parole/…/ valgono una vita”. Il che si estende anche alla ricerca dell’amore che sempre si rivela assente o inadeguato: “Il mare che mi abbraccia/…/ Sei tu il mare/ Vuoto a perdere/Che non sai nemmeno/ quando sono piena/…/piena di te.”
In “Questo ambiente malato che richiama il nostro malore”, la vita interiore rispecchia l’esterno e la realtà stessa, deludente e frustrante, si definisce come “dismesso sogno”. Riducendo a vana chimera ogni idea di salvezza, l’Autrice sembra così richiamare l’insegnamento lasciatoci da Calderón de la Barca, uno dei Grandi del secolo XVII :“la vita è sogno e i sogni altro non sono che sogni”.
Questa l’amara riflessione filosofica, degna del tempo in cui viviamo, che nella sua raccolta Serena Rossi ha saputo sapientemente trasmettere con un linguaggio dolente e ricco di chiaroscuri.
Laura Cantelmo – Milano, gennaio 2022
Sentire la realtà. Un viaggio tra colore, ritagli e parole
Lettura critica di Sonia Patrizia Catena
I primi lavori di Serena Rossi sono caratterizzati da colate informali, paesaggi interiori ed onirici dal lirismo leggero e fiabesco. Il suo fare pittorico in New light rose e in Urban slowness affiora in superficie e il colore monocromo fluisce veemente e incontenibile sino a far vibrare le colate e le forme che, nel caos, rivelano lo slancio vitale e il moto performativo dell’artista. Una carica emotiva da elaborare con il materiale e il colore che diventa la grammatica con cui Rossi costruisce le sue personali sovrapposizioni di sensazioni visive, aprendo, tuttavia, a diverse interpretazioni e modalità espressive.
Una pittura libera e gestuale che attiva quei ricordi e quelle immagini inconsce sopite in ognuno di noi, laddove la sensibilità diventa essenziale.
Nell’opera Hill del 2014 il colore a tutto campo si riduce a segni spray e colature, qui la gestualità si fa più aspra e regressiva sino ad avvicinarsi, negli anni, a un principio di figurazione grazie all’introduzione di ritagli di carta volti a simulare pattern decorativi o a interpretare il mondo e la realtà circostante (Rose, 2016). La tecnica del collage permette all’artista milanese di ricreare immaginari frammentati che si regolano per contrasto e si frangono nell’astrazione del segno realizzato con vernici spray e acrilici. L’istinto dell’artista sceglie le immagini o i soggetti da ritagliare, preleva dalla realtà ciò che desidera e, in un secondo momento, li connette cercando di far convivere elementi diversi nello stesso spazio. Nelle opere Joke e Children la realtà non è più un sogno, ma inizia a frammentarsi e ad alterarsi, ogni pezzetto selezionato ed estraniato dal suo contesto assurge ad altro grazie ad una casualità combinatoria. C’è un ritorno alla forma, a quegli appigli visivi che diventano principio per rinnovati moti immaginifici e lanciano una sfida allo sguardo affinché possa andare oltre. Alla dialettica tipicamente astratta del primo periodo si sostituisce dunque la struttura disomogenea dello spazio mediante l’uso di carte, tracce e disegni che determinano gli equilibri interni, pronti a tutte le possibili trasformazioni ed esagerazioni.
In Dove sei del 2021, il mondo reale compare con tutta la sua forza e diventa protagonista dei suoi scatti fotografici. I lavori di Serena Rossi si spogliano della materia e accolgono parole e brevi messaggi per divenire “pittopoesia” laddove l’immagine e la parola convivono e si valorizzano per svelare ciò che ci circonda. La fotografia modificata in post-produzione serba un posto per brevi versi, l’immagine perde la sua carica vitale ed energica per lasciare spazio alla malinconia della poesia.
Sonia Patrizia Catena Milano 2021
“Ci vuole cuore”, raccomanda dal cartiglio onomastico di una sua tecnica mista recente, del 2018, Serena Rossi.
Ci vuole cuore, per “matto”, malato e inquieto, che possa essere, come dire che ciò che conta per Serena, che è artista figurativa e insieme poetessa, non è tanto fare, inteso come esprimere e rappresentare, ma l’investimento emozionale, sentimentale. Occorre che l’operare, che sia scrittura poetica o gesto grafico e pittorico, sia sostenuto da un bisogno profondo, essenziale, da un mettersi in gioco con le proprie esigenze più vere; quelle che, a partire dal cuore, fanno muovere la mano in direzione dell’invenzione in ciò che appare, in una a volte drammatica messinscena, come traccia o deposito di sé sulla carta o sulla tela, istante dopo istante, in un incessante divenire che detta i ritmi stessi del pensiero e dell’essere in un’attesa per così dire braminica, da saggio orientale, che si dispone a osservare e indagare un orizzonte imperscrutabile, muovendo senza saperlo da un “senza” (“essere senza”, dice in un testo) verso un “destino” incollocabile.
C’è, secondo me, un testo che questa attitudine la dice bene e sintetizza, Risultato estetico: “Incollo e piego / le pagine di ieri. / Carta per la bocca / colorata soglia di me. / Spacco la forma / per il ricordo / e giro il foglio. / Gira anche l’orizzonte / che piano geme / stella fissa del divenire. / Risultato estetico / odora di casa”.
Ecco, ciò che attende chi scrive, il “risultato” cui aspira e perviene per progressivi appressamenti, è un’apparizione di bellezza, un fatto “estetico-estatico”, di “forme” e “ricordi” che si aggregano sul “foglio”, supporto dell’immaginario che si deposita, giorno dopo giorno, in una sorta di cotidie lineam, “colorata soglia” dell’io lasciando intravedere dietro “vetrofanie di libertà” tutti i grandi problemi dell’oggi (la guerra, i migranti, la difficile collocazione dell’individuo in un contesto di rapporti contraffatti dagli interessi economici…).
È così che funziona tutta la ricerca di Serena Rossi: in un diuturno interrogare e sfidare le ombre, una vera e propria hypnerotomachia, una “battaglia d’amore nel sogno”, degna dell’antico Polifilo prenestino, che si rivela l’unica e assoluta verità.
Vincenzo Guarracino, Como 2019
Le tele di Serena Rossi diventano terreno di possibilità per la creazione di relazioni fra i processi alcheimici e la sfera dell’immaginazione. La sua pittura diviene cammino psichico che guida alla percezione di sè ed all’emancipazione dell’io dai conflitti interiori. Le grandi tele assurgono a luogo di esistenza dell’Artista e dell’arte, spazio svincolato dalle condizioni estetiche, in cui la Rossi convoglia le proprie emozioni e la propria energia vitale. La Rossi alla stregua di un alchimista trasfigura materiali industriali (polveri metalliche, spray acrilici, glitters) in soluzioni nobili ed artistiche. Un progetto complesso attraverso il quale la pulsione endogena aspira alla trasformazione, alla liberazione della psiche proiettata e vissuta nell’alterazione delle sostanze materiali. Nello studio-laboratorio dell’Artista milanese tra gli alambicchi ed i pennelli si attende l’evoluzione della personalità, la metamorfosi della materia, laddove la psiche embrionale si avvia alla sua trasmutazione e in cui assistiamo ad una lotta caotica tra tendenze ed energie opposte. I colori emulsionati seguono architetture fittizie, si snodano lungo la superficie telata in densi e morbidi strati di masse cromatiche intervallati da spazi vuoti, attimi di respiro e interstizio tra i vari materiali. Un’energia si muove libera e sembra non seguire alcuna logica interna o principio razionale. Affiorano “forme” da una materia brulicante, energetica, la quale a sua volta si stempera in uno scenario primordiale di fluidificazione di ogni identità. L’essenza del suo lavoro sta dunque nella loro combinazione e nella loro condensazione. La conquista dell’arte consiste nello stadio finale caratterizzato dalla fusione degli elementi e della sintesi ultima: la tela, ove le impressioni dello spettatore e dell’artista prendono vita mediante visioni fantastiche. La materia ribolle come se dovesse scatenare singolarmente un certo vitalismo per non essere soggiogata da un terreno primordiale in cui anche ogni elemento appare immerso, o, ancora i segni si vaporizzano divenendo forme oniriche che galleggiano evanescenti nell’etere, nel mondo dell’arte.
Sonia Patrizia Catena 2012
Serena Rossi dipinge la vita. Ogni sua opera ritrae quello che quotidianamente vediamo e viviamo, sentiamo e viviamo: asprezze, incomprensioni, amarezze ma anche dolcezze, positività, affetti.
La sua è una pittura a più livelli, la cui lettura ci fa scoprire che, a fronte di una tecnica complessa (collage+glitters) e di materiali non certo deputati (smalti, poveri metalliche), il risultato è invece la sintesi di un pensiero semplice e lineare, frutto di un’intuizione pittorica sempre attenta e calibrata.
Nella sua visione informale i colori sono generalmente tenui e, specialmente nei grandi dipinti (praticamente monocromi) acquistano una compostezza formale che si può far risalire alle ceramiche di Fontana o alle opere di Klein e Fautrier.
Certamente i suoi dipinti vibrano di una propria vita e di una propria luce, e Serena si adopera, in questo studio fatto di leggerezze e di tonicità, a riproporre sempre nuove emotività e nuove suggestioni.
Nelle sue opere di grande formato la poesia gioca con la realtà e l’immagine si fa poesia.
Ludovico Calchi Novati, 2010